È boom del vino bio: in conversione il 55% dei vigneti

Una crescita tumultuosa che però va ora governata. Negli ultimi anni il vino biologico ha fatto passi da gigante.

 

E tutto ciò nonostante il varo, nel 2012, di un regolamento Ue che di certo ha stretto le maglie rispetto al passato. A quando cioè la regolamentazione era limitata al vigneto e alla produzione di uve biologiche ma si fermava sulla soglia della cantina. A partire dal 2012 invece – e dopo un lungo e controverso contenzioso sul contenuto di solfiti che era possibile utilizzare in cantina – il regolamento 203/2012 ha introdotto regole stringenti anche sulla trasformazione delle uve in vino. E la definizione di paletti più stringenti non ha affatto frenano – come qualcuno temeva – lo sviluppo del settore.

Un fatturato da 3 miliardi

Una crescita che è tutta nei numeri. Le aziende di vino bio in Italia sono oggi 44mila (e fra queste è sempre più forte la presenza di grandi etichette private e cooperative): gli ettari di vigneti biologici sono 45mila, gli ettolitri prodotti 350mila, per un fatturato di circa 3 miliardi di euro (un terzo dei quali realizzato all’estero). Uno sviluppo che investe in maniera trasversale tutto il paese, dalla Franciacorta alla Toscana fino alla Sicilia «dove produrre vino biologico – spiega Paolo Carnemolla, presidente di Federbio (che per il secondo anno consecutivo organizza nell’ambito di Vinitaly il salone dedicato VinitalyBio) – è una scelta quasi obbligata visto che le elevate temperature medie consentono di contrastare i parassiti senza la necessità di ricorrere ad agenti chimici. Ma a colpire – aggiunge – è l’entità delle superfici in conversione. Ovvero che stanno passando dalla coltura convenzionale a quella biologica.

Ettari in conversione

In Italia si tratta di circa 24mila ettari, pari al 55% del totale. E anche se la conversione verrà completata in un triennio, si tratta pur sempre di una crescita del 15–20% l’anno». Il regolamento Ue non ha quindi ostacolato questo processo ma anzi lo ha accompagnato. «Il traino – aggiunge Carnemolla – viene sempre dall’estero e in particolare dai mercati del Nord Europa. Così attenti al vino biologico italiano da aver consentito negli ultimi anni anche lo sviluppo di un significativo export di vino sfuso che viene imbottigliato all’estero e che anni fa, quando le norme Ue si fermavano al vigneto, non era certo possibile».

La normativa Ue

Le regole Ue hanno quindi avuto un effetto positivo, anche se un bilancio vero e proprio sarà tracciato a partire dal prossimo mese di maggio «quando – spiega Cristina Micheloni, agronomo Aiab (Associazione italiana agricoltura biologica), – partirà una revisione globale del regolamento 203 sul vino bio. Una revisione che ci è stata richiesta dalla Commissione Ue per valutare gli effetti del regolamento e se ci sono cambiamenti da apportare. Al momento sono solo a conoscenza della richiesta, formulata da alcuni Stati membri, di valutazione di prodotti a uso enologico come le mannoproteine e il chitosano, perché vengano autorizzati. Ma penso ci sarà anche spazio per far compiere al regolamento qualche passo in più in direzione di una maggiore qualità dei prodotti finali». «L’altro aspetto fondamentale – conclude – è lavorare sulla promozione e l’informazione al consumatore finale di cosa sia il vino bio. Lavorare insomma per consolidare i risultati ottenuti evitando che la crescita di questi anni si riveli solo una moda».