José, la signora dei vini. I tappi riciclati salvano il mare dalla plastica

L’amministratrice delegata del marchio Donnafugata si racconta: il passato da ribelle, la carriera con il jazz e il ritorno nell’azienda di Marsala. L’attenzione all’ambiente: il turacciolo ricavato dalle plastiche raccolte

Il vino che salva l’acqua si chiama Damarino. La bottiglia ha un’etichetta azzurra, scintillante come il mare pulito. Ha un tappo prodotto con la plastica raccolta dalle coste e destinata a finire negli oceani. È il primo al mondo, si chiama Nomacorc Ocean, progettato da Vinventions. Debutta con il Damarino, un uvaggio di autoctononi bianchi della tenuta siciliana di Contessa Entellina. È l’ultima idea di José Rallo, la vignaiola doc di Donnafugata.

Non esiste una sola José: negli anni si è trasformata da ribelle a vignaiola, da cantante jazz a (per 72 ore) candidata ministro dell’Agricoltura. Un capitolo poco noto: nel 2018 il presidente della Repubblica Sergio Mattarella pensò a un governo tecnico. Incaricò Carlo Cottarelli, visiting professor della Bocconi, che ricevette la telefonata per l’incarico da premier mentre stava preparandosi a vedere la settima puntata di Breaking Bad, serie Netflix. Nel giro di tre giorni (e tre notti insonni) il governo era pronto: José era nella lista dei 13 che avrebbero dovuto giurare fedeltà alla Costituzione. Ma al quarto giorno Cottarelli si dimise per lasciare spazio a un governo politico. José si era già stabilita a Roma, aveva fatto arrivare marito, figli e il fratello Antonio, che da ex presidente dell’Unione Italiana Vini avrebbe potuto guidarla per i corridoi del ministero. «È sfumato tutto, ma non importa, continuerò ad occuparmi e a divertirmi con il vino», disse prima di rientrare a Marsala.

Nella cantina di famiglia, a pochi passi dal sorprendente museo archeologico di Marsala che conserva il relitto di una nave punica, c’è una grande scritta che José ha letto fin dal suo primo ingresso. Una frase di Johann Wolfgang Goethe: «L’Italia, senza la Sicilia, non lascia alcuna immagine nell’anima: qui comincia tutto». L’aveva voluta il padre, Giacomo, il fondatore colto di Donnafugata, nel 1983. Giacomo è morto nel 2016, a 79 anni, mentre lavorava in ufficio, come ogni giorno, ultimo giorno di una lunga carriera dedicata alla rinascita del vino siciliano. Da quel momento, per José e Antonio, con la madre Gabriella, è cambiato tutto. Pochi mesi dopo, alla prima riunione dei cavalieri del lavoro del vino, riuniti come ogni anno in cantina, José era commossa e smarrita.

Aggrappata al braccio del vicino, facendosi coraggio, riuscì a onorare il padre con un discorso toccante. A tutti lì fu chiaro che la ragazza di Marsala, nata Giuseppina nel 1964, aveva la forza e la passione per far crescere il mondo vinicolo voluto da Giacomo e Gabriella. Un percorso, il suo, iniziato con un distacco e proseguito con un ritorno. «Non avevo intenzione di lavorare nell’azienda di famiglia – ha raccontato – così a 19 anni mi sono trasferita a Pisa. Avevo solo una borsa di studio e la precisa volontà di essere indipendente, di mantenermi da sola». Si laurea in Economia e Commercio alla Scuola superiore di Sant’Anna, con lode, perché dietro al sorriso nasconde tenacia e carattere di ferro. Lavora in una società di consulenza manageriale. D’estate torna in Sicilia: una sera di Ferragosto, a un concerto di musica brasiliana conosce un ragazzo. Gli offre una bottiglia di vino. Scocca la scintilla. José decide che vuole vivere con quel ragazzo, Vincenzo Favara, batterista della band siculo-carioca. Sale con lui sul palco. Si sposano. Da allora la coppia fa spettacolo, suonando samba, musicando brani dal Gattopardo di Tommaso di Lampedusa (il libro che ha ispirato il nome della cantina e anche di alcuni vini) e poesie come «Ode al vino» di Pablo Neruda. Li accomuna «una cultura musicale che porta allegria, ottimismo, e rappresenta un po’ il mio modo di essere», dice José.

Passato lo stordimento del primo incontro con il futuro marito, José bussa alla porta del padre e gli chiede un lavoro a Donnafugata. Una scena da figliol prodigo. Giacomo capisce che la figlia avrebbe imparato in fretta l’arte del governo di una cantina, ma le chiede di cominciare dal basso. Vuole che stemperi gli ardori giovanili nella gavetta. «Ho cominciato dai lavori di base, come compilare le fatture», ricorda la vignaiola. Stipendio base, zero trattamenti di favore. In pochi anni porta a compimento i progetti che le vengono affidati: l’informatizzazione dell’azienda e il controllo di gestione. E intanto canta. Sceglie tonalità jazz, «perché il jazz è un rosso corposo che ha memoria di tutto ciò che lo ha preceduto». Studia canto, per anni. Fino a quando arriva il momento dei concerti nei luoghi magici del jazz, il Blue Note di New York (e di Milano), ad esempio. E poi nei teatri di Pechino, Shangai, Mosca, e dell’Acropoli di Atene, tre cd e un format di spettacolo che mette assieme musica dal vino e degustazioni. Ha trasformato la comunicazione aziendale. È solare come i suoi abiti colorati e come le etichette dei vini, illustrate con maestria dall’artista Stefano Vitale (in mostra, qualche tempo fa, a Villa Necchi Campiglio, a Milano).

Ora è l’amministratore delegato di Donnafugata, assieme al fratello Antonio. Guida 5 cantine ed oltre 400 ettari di vigneti tra Marsala, Contessa Entellina, Pantelleria, l’Etna e Vittoria. Fin dall’inizio si è occupata di energia pulita, risparmio energetico e architettura sostenibile. Ora l’ultima sfida, il tappo che aiuta a non sporcare i mari. «Siamo i primi al mondo ad usare questo tappo prodotto con la plastica raccolta nelle zone costiere e destinata a finire negli oceani», spiega José. Si chiama Ocean Bound Plastic. L’idea è di bloccare e raccogliere i rifiuti prima che raggiungano il mare. Per poi dargli una seconda vita, secondo i principi della economia circolare. «Siamo orgogliosi che Vinventions ci abbia scelto per il lancio di questo progetto – dice la vignaiola – cantante – grazie all’uso di questo tappo sul nostro Damarino abbiamo contribuito al riciclo di 1,15 tonnellate di plastica che altrimenti sarebbe finita tra le onde».

FONTE: Corriere.it