Storie di vini Fatti e vicende della Barbera, il terzo vitigno più diffuso in Italia

Il vino autoctono piemontese amato dalla corte ducale di Mantova e successivamente relegato a comune vino da tavola, oggi con ventitré Doc e tre Docg è tornato a godere di rispetto e meritata diffusione anche a livello internazionale

Si dice Barbera – il o la, a seconda che si parli del vitigno o del vino – (ma la discussione, che nel tempo ha coinvolto anche poeti come Pascoli e Carducci e lo scrittore Mario Soldati, è tuttora aperta), e si pensa al Piemonte, dove occupa un terzo della superficie vitata. In particolare, a Casale Monferrato, dove si è trovata la più antica menzione delle uve “barbesine” – “de bonis vitibus berbexinis” – in un contratto di affitto del 1249, e da dove il vitigno si è diffuso nelle varie località, da Asti, alle Langhe, ai Colli Tortonesi. Vino di un certo pregio, secondo una lettera del 1609, scoperta dal dottor Arturo Bersano nell’archivio comunale di Nizza Monferrato e che testimonia che in quell’anno vennero inviati «Nel Contado di Nizza de la Paglia appositi incaricati per assaggiare il vino di questi vigneti, e in particolare lo vino barbera per servizio di S.A. Serenissima e di pagargli al giusto prezzo».

La corte ducale di Mantova era di certo un luogo dove si apprezzavano i migliori vini d’Italia e, alla fine del Settecento, nel primo trattato di ampelografia dei vitigni piemontesi, “Sulla coltivazione della viti”, il/la Barbera era descritto come un «Vino possente, sempre piuttosto severo, ma ricco d’un profumo squisito, e d’un sapore che alla forza accoppia la finezza».
Eppure, malgrado la sua storia, ancora negli anni ’70, era il classico vino da taglio e in patria era considerato una bevanda da casa e da osteria che i contadini reputavano tanto migliore quanto più faceva la “camicia”, cioè lasciava uno spesso residuo tannico sulla superficie interna della bottiglia, l’alternativa umile e di pronta beva al blasonato Nebbiolo. Oggi è diventato un vino di qualità con ventitré Doc e tre Docg e, soprattutto, si è affermato in tutto il mondo.

Fuori dal Piemonte, infatti, il vitigno è coltivato nell’Oltrepò Pavese, in versione frizzante, sui Colli Piacentini, dove con l’uva croatina è la base per il Gutturnio, in Franciacorta, Umbria, Campania, Sicilia e in altre regioni italiane; in assoluto è il terzo vitigno più diffuso nel Paese. Fino alla Sardegna, dove fu molto coltivata al tempo del Regno dei Savoia. Alcuni botanici ritengono che la varietà autoctona sarda Pignatello sia una sottospecie mutata del Barbera.

All’estero, ha seguito la migrazione italiana e soprattutto piemontese in Australia, in Sud America e in California, dove fu portato nel diciannovesimo secolo, usando l’espediente di piantare i segmenti di tralcio nelle patate per farli arrivare relativamente freschi e in condizione di essere ripiantati al termine del lunghissimo viaggio in piroscafo.
Usata a lungo come vino da taglio, è diventata, infine, fin dagli anni ’90, una Californian Barbera Red di tutto rispetto, protagonista, anche, del Barbera Festival dell’Amador County. In Australia, la “Bar-beh-rah” è nota dagli anni ’60, ma solo dalla fine degli anni ’80 ha iniziato ad avere una sua popolarità ed è raccomandata, oltre che con sughi e carne, in abbinamento alla pizza.

C’è anche una Barbera israeliana rosè, kasher, vinificata con una rapida spremitura delle bucce, che arriva dall’Alta Galilea, insieme alle alture del Golan luogo d’elezione dei migliori vini del paese. E fra i tanti, e ottimi, vini sudafricani la Barbera ha un suo posto, piccolo ma significativo.

In Europa, però, la coltivazione della Barbera è pochissimo diffusa e persino la Grecia dove c’è una vera predilezione per i vini francesi e italiani, che rappresentano il 78,08% delle loro importazioni vinicole, e dove il Barolo e il Barbaresco sono presenti con tutte le aziende di importazione di livello, la Barbera sta ancora cercando di trovare la sua ubicazione.

Tutt’altra storia nella piccola ma produttiva Slovenia: qui nel distretto vinicolo della Vipavska dolina o Vipava, ovvero la Valle del Vipacco, regno millenario di bianchi fin dai tempi degli antichi romani, il Barbera è stato introdotto con altri vitigni a bacca rossa come Merlot, Pinot Nero, Cabernet Sauvignon, Refosco solo nel Novecento, specificamente per la sua versatilità, adattabilità e alta resa. Inizialmente era vinificato in taglio, soprattutto in un insolito ma riuscito connubio con il Merlot, ma nel tempo ha prosperato e ha dato vita a un vino molto richiesto e popolare accanto ai classici come Merlot, Pinot Nero, Cabernet Sauvignon, Refosco.
Oggi un po’ diversa, con un po’ di acidità in meno, ma perfettamente riconoscibile, la Barbera in Slovenia si trova tanto nelle gostilne, la versione locale delle trattorie dove il cibo è semplice ma gustoso e le porzioni abbondanti, in abbinamento a salumi e formaggi ma anche allo spezzatino di orso, così come in diverse aziende come prodotto di punta con nomi insoliti a orecchie italiane, come il Krapež Barbera o la Barbera di Slavcek.

Fonte: Linkiesta